Prima di cominciare a parlare di capelli in un contesto come quello di Better Call Boris voglio fare una premessa: non è affatto un fuori tema, anzi, al contrario i dreadlocks hanno molto da dire e soprattutto da comunicare. Cominciamo intanto a definirli per quello che sono, cioè semplici ciocche di capelli che non vengono pettinati e si annodano tra loro, molti ne conoscono le origini africane, ma disegni storici indicano la loro prima apparizione 3600 anni fa in Grecia.
Testi sacri induisti invece li collocano ancora prima e gli danno un significato molto importante, addirittura gli Induisti attribuiscono ai “Jata”, così li chiamano loro, l’energia spirituale del “Sadhu” cioè del santone, personaggio ben visto dalla comunità Induista.
Ma non solo gli induisti associavano al sacro questo tipo di capelli, per diverse culture e religioni i Dread sono l’estensione dell’intelletto, alcuni sostengono addirittura che possano donare poteri soprannaturali ai guerrieri, allungando la loro sensibilità ed ampliando i loro sensi, sia nel muoversi nella natura che nel combattere corpo a corpo. Queste e tante altre credenze sono state associate nel tempo ai portatori di Dread.
La storia più recente vede i Dread come protagonisti di un movimento di ribellione nato negli anni 30 del secolo scorso, quando in Jamaica venivano sfruttati gli schiavi provenienti dalla Madre Africa, in particolare dall’Etiopia dove all’epoca regnava Tafarì Maconnèn, che spesso veniva chiamato Ras Tafari, cioè capo Tafarì.
Veniamo poi alla musica, dove la libertà espressa attraverso il libero sviluppo del capello, viene amalgamata al concetto di musica reggae, questo capello infatti cresce spontaneamente e non vuole alcun trattamento particolare, più è lungo e più dimostra la devozione alla causa Rastafariana, che negli anni 70 grazie proprio alla musica reggae, riesce a trovare una valvola pacifica di ribellione, contro la schiavitù ed i diritti umani, in particolare degli africani resi schiavi lontano dalla loro madre Africa.
Grazie a Bob Marley i concetti del Rastafarianesimo si sono allungati in tutto il mondo, ed ancora oggi sono fonte di ispirazione per molti, che si ritrovano in questa musica per stile di vita, per mentalità e per semplice passione musicale
Come possiamo capire quindi non stiamo parlando di qualcosa di molto leggero, ho scelto i dreadlock non solo perché li porto io in prima persona, ma perché secondo me sono è il taglio di capelli che meglio comunica, proprio perché protagonista storico di tante etnie, ma anche una frangia può ispirarsi ad un movimento, una tinta può richiamare un periodo storico, tagliarsi i capelli in un certo modo è una scelta, è un modo per dire al mondo: “Io sono questo”
Detto questo è d’obbligo fare chiarezza sui miei drealdlock, anche se sento molto un legame con L’Africa ma se dicessi di appoggiare la causa perché la sento mia direi una stronzata, per fortuna non so minimamente cosa significhi essere portato via dalla propria città per diventare schiavo di qualcuno dall’altra parte del mondo e lontano dalla mia famiglia.
Miti da sfatare ce ne sono tanti, intanto i dread si lavano come i capelli normali, o meglio, io li lavo come capelli normali, perché ho un capello predisposto e non succede come a tanti che mi si sfaldano se li lavo, infatti molti li lavano il meno possibile, o proprio per niente per questo motivo, ma vi prego non associate il dreadlock ad un capello sporco. Pesano? Solo quando sono bagnati? Sono miei? Si e sono naturali, li ho iniziati che erano cortissimi anni fa, li ho fatti semplicemente con l’uncinetto, senza creme, cere, colle o altre robe così, in conclusione porto i dread per predisposizione del capello, per comodità e perché mi piacciono da morire, ma non c’è altro motivo e non voglio appartenere a nessuno stereotipo tipico dei dreadlockers